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The Term has just started and I’ve decided I will not be teaching for my first year of Marie Curie; I feel I just need to learn. I need to pause from the frenzied pace dictated by academia, where there’s no time left for ‘real’ study, and I want this Grant to be the opportunity to go back to being a student, in the best way. When I was at university, I used to be excited at the idea that, one day, I would have known all the things that the professor in front of me knew, or I was moved by a text which, in being explained to me, unfolded all its meanings. I remember the thrill of understanding things because I had built layers of knowledge that allowed me to make the right connections, to connect the dots and get the complete image. ‘Only connect’ says Forster in the subtitle of Howards End. I would have liked to utter these two words when Madeleine Davies asked us, during her seminar on Virginia Woolf and Bloomsbury, what Modernism was. I would have liked to answer ‘Modernism is tolerating the obscure and only connect’, but I want to be a silent auditor, so I didn’t say anything. I said that to myself, though, I gave that answer to me, and it is such a useful and important exercise to find this kind of answers.
Woolf seminar started yesterday, then, and I was really looking forward to it, and I enjoyed my three hours observing and listening, not only to Maddie Davies telling us about Virginia with that passion I know so well, because it is the same I feel every time, but also observing and listening to the young women (and the young man) in the room. One thing struck me: when Maddie asked what we thought when we heard the name ‘Virginia Woolf’, the first answer was ‘Feminist’, the second ‘Modernist’.
Dr Davies added that Woolf is often associated to suicide, but not this time; the girls did not speak about her life but about what she did, about what she left behind. ‘Feminist’, this is what girls think today when they think of Woolf. We started reading The Voyage Out, that they’ve all read, together with a good part of the other texts for the module: Jacob’s Room, Mrs Dalloway, A Room of One’s Own, Three Guineas, plus a series of essays (I could not help thinking that in Italy it would be difficult to give all those novels to read, nowadays… too many pages for the CFU. And how can you connect, if you only read one text?)
Today I attended the first class of the module Materiality and Textuality, co-taught by Mark Nixon and Nicola Wilson. Mark Nixon presented the seminar and introduced the archive and some Beckett’s manuscripts to us. He gave us different types of ‘documents’: a book, a letter, a proof, a first version of Not I, diary pages, a scrapbook. We were divided in small groups and he gave to each a document and asked us to understand: 1- what it was; 2- what information we could get from it; 3- who might be interested in that information. F. – the young Italian student sitting next to me – and I got a book by Hölderlin that Beckett received as a Christmas present in 1936 – we understood that because on the frontispiece he had written ‘SB 24-12-1936’. When I read that annotation I got so exited, I looked at F. and I asked him ‘do you know what this is?’, and he realised the it was Beckett’s writing, that Samuel had written on that book himself, and he smiled back. After so many years in the archive I might have got bored during this first introductory class but, on the contrary, it was electrifying, exciting, and I wandered how I have been able to do all the thing I did without receiving a ‘proper education’. Everything I wrote, everything I thought, I did it all by myself, groping my way through research, without a method, without a theory. I built my own method and my own theory and today, in listening to Mark, I realised how much labour I could have spared myself had I attended this seminar 10 or 15 years ago. But it doesn’t matter: now I’m here. I mapped my ground step by step, and even though I’m probably still missing the overall view – which I will acquire here, hopefully – I feel I have the experience of a mountaineer that reached the top just because she put one foot in front of the other and not because she had the right gear. What this Marie Curie is giving me is the right equipment, or better, I am discovering what the right equipment is, and how much more comfortable – and safe – it is to climb with boots instead of sneakers. And I plan to take full advantage of my brand-new gear!
Ritorno… allo studio!
Questa settimana sono iniziate le lezioni e io, per questo primo anno, ho deciso di non insegnare, voglio imparare e basta. Sento davvero il bisogno di prendere una pausa dal ritmo frenetico che l’accademia impone e che non lascia più tempo per lo studio vero, e voglio che questo Grant sia l’opportunità per tornare studente nel senso più bello del termine. Quando frequentavo l’università, durante alcune lezioni mi emozionavo al pensiero che un giorno avrei saputo tante cose quante ne sapeva la persona davanti a me, oppure mi emozionavo leggendo un testo e sentendomi raccontare tutto quello che io, a una prima lettura, non avrei mai capito. Ricordo l’emozione di capire le cose perché mi ero formata uno strato di conoscenze che mi permettevano di fare tutti i giusti collegamenti, di unire i puntini e formare l’immagine. ‘Only connect’, dice Forster nel sottotitolo del suo Casa Howard, ‘solo connettere’. Avrei voluto dire queste due parole quando Madelaine Davies ci ha domandato, durante il suo seminario su Virginia Woolf e Bloomsbury, cosa fosse il Modernismo. Avrei voluto rispondere ‘Modernism is tolerating the obscure and only connect’, ma voglio essere un’ospite silenziosa e quindi non l’ho fatto. Però l’ho detto a me stessa, mi sono data io la risposta, ed è un esercizio utile e importantissimo questo di trovare le risposte.
Ieri dunque è iniziato il seminario su Woolf e Bloomsbury, che ovviamente attendevo con ansia, e mi sono goduta quelle tre ore osservando e ascoltando, non solo Maddie Davies che raccontava Virginia con quella passione che conosco così bene perché è la stessa che provo io ogni volta, ma osservando e ascoltando le ragazze (e il ragazzo) presenti nella stanza. Una cosa mi ha colpita molto: quando Maddie ha chiesto a che cosa pensiamo quando sentiamo il nome Virginia Woolf la prima risposta è stata ‘Femminista’, la seconda ‘Modernista’. La Davies ha aggiunto che spesso è associata al concetto di suicidio, ma questa volta no, le ragazze non hanno parlato della sua vita ma di quello che ha fatto, che ha lasciato. ‘Feminist’, questo pensano le ragazze oggi quando pensano a Woolf. Abbiamo iniziato ad affrontare la lettura di La crociera, che tutte avevano già letto, e molte avevano già affrontato gran parte dei testi in programma oltre a La crociera: La stanza di Jacob, La Signora Dalloway, Una stanza tutta per sé, Tre ghinee più una serie di saggi (non ho potuto fare a meno di pensare che in Italia ormai sarebbe difficile dare tutti questi testi da leggere… troppe pagine rispetto ai CFU. E come si fa, poi, a connettere, se si legge solo un testo?)
Oggi invece c’è stata la prima lezione del seminario Materiality and Textuality, che sarà tenuto da Mark Nixon e Nicola Wilson. Oggi Mark ha introdotto il seminario e ci ha introdotto alla consultazione dell’archivio e a un po’ di manoscritti di Beckett. Ci ha messo in mano diversi tipi di ‘documenti’: un libro, una lettera, una bozza, una prima versione di Not I, pagine di diario, un taccuino degli appunti. Ci ha divisi in gruppi da due affidando a ogni coppia un documento e chiedendoci di capire 1- cosa fosse, 2- che tipo di informazioni potevamo ricavarne, 3- a chi potevano interessare quelle informazioni. A me e a F., il giovane studente accanto a me, è capitato un libro di Hölderlin che Beckett aveva ricevuto come regalo di Natale nel 1936 – lo abbiamo capito perché sul frontespizio, a matita, c’era scritto ‘SB 24-12-1936’. Quando ho visto quell’annotazione mi sono salite le lacrime agli occhi, ho guardato F. e gli ho detto ‘hai visto cos’è questo?’ e lui ha realizzato che era la scrittura di Beckett, che era Samuel ad aver scritto a matita in quel libro, e ha sorriso anche lui. Dopo tanti anni di ricerca in archivio avrei potuto annoiarmi in questa prima lezione introduttiva, invece è stata entusiasmante, eccitante, e mi sono domandata come abbia fatto a fare tutto quello che ho fatto senza ricevere mai una ‘istruzione adeguata’. Quello che ho scritto, che ho pensato, l’ho fatto tutto alla cieca, tastando il terreno passo per passo, senza un metodo, senza una teoria. Mi sono costruita il mio metodo e la mia teoria da sola e oggi, ascoltando Mark, ho pensato a quanta fatica mi sarei risparmiata se avessi frequentato questo corso 10 o 15 anni fa. Ma non importa, ora sono qui, ho mappato il terreno un passo dopo l’altro e anche se forse mi manca la visione d’insieme, che acquisirò qui, sento di avere le conoscenze di una montanara che ha raggiunto la vetta solo perché ha messo un piede davanti all’altro e non perché aveva l’attrezzatura giusta. Quello che sta facendo questa Marie Curie è darmi l’attrezzatura giusta, anzi farmi scoprire che esiste una attrezzatura, che è più comodo salire con gli scarponi che con le scarpe da ginnastica. E ho intenzione di sfruttare al massimo il mio nuovo equipaggiamento.